Capitolo 3



"Vivi con Onore
Combatti con Coraggio.
Agisci con Costanza"
Targa Celebrativa affissa all'entrata della sede centrale T.M.D.

3


«La nostra guerra contro questa società decadente e corrotta, che ha dimenticato le proprie radici e si crogiola in un vivaio di false certezze, è pronta a raggiungere un nuovo livello.
L’attacco contro il Procuratore Viktor Griffith è stato il primo atto della nostra seconda venuta, e questa volta non ci fermeremo fino a quando il nostro scopo non sarà raggiunto.
Per troppi anni la MAB si è illusa di avere il controllo su questo pianeta e sui suoi abitanti. Quello che doveva essere un nuovo ordine votato al progresso e alla pacifica convivenza ha assunto negli anni i connotati di uno stato di polizia, governato da militari e politici corrotti che si servono delle possibilità offerte dalla magia per i propri interessi senza curarsi minimamente dei rischi che essa comporta.
Quando, quasi quattrocento anni fa, i nostri padri arrivarono qui dalla Terra, essi costruirono questa società perché fosse un modello del progresso e delle potenzialità del genere umano. Ma coloro che ci governano hanno storpiato e insudiciato quel sogno, e ne hanno fatto il loro parco divertimenti.
Noi non ci fermeremo fino a quando la società che i nostri padri hanno sognato posando per primi i piedi su questo pianeta non verrà riscoperta, e coloro che l’hanno distrutta per i loro fini deviati non avranno ricevuto il castigo divino.
Noi siamo Avalon.
Siamo tornati».
Il generale Nives chiuse con un cenno della mano la finestra virtuale e si volse a guardare i propri colleghi radunati attorno al grande tavolo ovale mentre le tende della stanza venivano riaperte.
Il Consiglio di Sicurezza della MAB era quasi al completo. Unici membri presenti solo con la propria proiezione spirituale erano gli ammiragli Hinkel e Khoral, collegati dai ponti delle rispettive navi in orbita attorno a Celestis.
Dal lato opposto, l’anziano Direttore generale Van Adler se ne stava in silenzio, come in meditazione, tenendo il capo chino e passandosi di tanto in tanto una mano sulla folta barba bianca.
«Il messaggio è stato recapitato alle sedi di cinque diverse stazioni televisive all’alba di questa mattina.» disse il generale Nives
«La notizia si è diffusa?» domandò preoccupato il generale Boginski
«Dopo quanto accaduto al Palazzo Azzurro eravamo in stato di allerta, quindi siamo riusciti ad agire per tempo. L’attentato al procuratore è stato fatto passare per un semplice incidente, e le televisioni hanno accettato di mantenere segreta la rivendicazione dei terroristi.»
«Incredibile, Avalon.» mugugnò tra sé l’Ammiraglio Khoral dopo un momento di enigmatico silenzio «E dire che speravo fosse una storia chiusa.»
«Che cosa sappiamo di questo gruppo?» chiese l’Ammiraglio Hinkel, l’ultima in ordine di tempo ad essere entrata a far parte del consiglio
«Sono degli anarchici, fondamentalmente.» rispose Nives «Con una storia di oltre quindici anni. Il loro teatro operativo è da sempre il territorio di Caldesia, e da questo punto di vista sono stati per anni il gruppo più potente e pericoloso di questo Paese.»
«Ma avevo sentito dire che il gruppo era stato smembrato e distrutto.»
«Così credevamo, almeno.» disse il Direttore generale Van Adler «Sei anni fa riuscimmo ad arrestare il Barone Auguste Delaroche, il capo storico e fondatore di Avalon.»
«Tralasciando l’importanza della famiglia Delaroche.» spiegò il generale Wei «Il gruppo godeva del sostegno e dei finanziamenti di molte personalità influenti di Caldesia, e persino di un certo consenso popolare. Fu come scoperchiare il vaso di pandora.»
«L’arresto del barone e dei suoi collaboratori potrò ben presto Avalon alla rovina.» disse Boginski «Ma a quanto pare, devono essersi riorganizzati. E se posso esprimere un parere, ci metto la mano sul fuoco che è coinvolto il figlio di Delaroche.»
«Intendi dire Valerian?» chiese Nives «È molto probabile. Dal giorno dell’arresto di suo padre è sparito nel nulla. Abbiamo ricevuto un paio di segnalazioni sul  suo conto, ma è sempre stato più veloce di noi.»
«Ma come avrà fatto a ricostruire il gruppo in così poco tempo?» chiese l’Ammiraglio Khoral «Se non sbaglio Valerian non era mai stato coinvolto negli affari del padre.»
«Avrà sfruttato la rete di conoscenze e di fiancheggiatori intessuta da suo padre, lavorando con quelli che sono sfuggiti all’arresto. I beni dei Delaroche sono stati confiscati dopo la cattura del patriarca, ma vista la portata degli interessi della famiglia non mi sorprenderebbe se qualcosa ci fosse sfuggito.»
«Ma per quanto ne so, mettere una bomba al nucleo d’espansione nell’auto di un procuratore non ha mai fatto parte del modus operandi della vecchia Avalon.» disse Boginski
«Se è per questo, Avalon non aveva neanche mai colpito direttamente a Kyrador.» disse Nives «È probabile che fosse un modo per il barone e i suoi alleati di tenere lontani i sospetti.»
«Questo è un gran male.» disse sconsolata Hinkel «Significa che non sono prevedibili.»
«E che non temono le conseguenze delle loro azioni.» aggiunse Wei «Sono pronti a colpire dovunque e chiunque, e hanno voluto farcelo sapere.
A conti fatti, è solo per una pura coincidenza se il procuratore Griffith non è rimasto ucciso».
Il Direttore generale guardò un momento i suoi uomini, respirando tra i denti senza tradire emozioni.
«Prima ci occupiamo di questo problema, meno tempo gli daremo per crescere. Avviamo subito un’indagine approfondita. Bisogna scoprire se Valerian Delaroche è effettivamente il nuovo capo di Avalon. Cerchiamo di capire quali siano i loro obiettivi, e se possibile dove intendano colpire.
Mettiamo il TMD e le altre unità speciali in stato di allerta; il mio istinto mi dice che l’attentato al procuratore è stato solo l’inizio, e che continueranno a colpire in città.»
«Sissignore.» risposero alcuni, mentre altri si limitarono ad annuire
«Manteniamo la versione dell’incidente. Niente fughe di notizie alla stampa o alla televisione. L’ultima cosa che ci serve è il panico generale.»
«Sarà fatto.» rispose il generale Nives, che era praticamente il suo secondo.
Dopo pochi minuti la riunione ebbe fine e tutti si congedarono.

Jake camminava, in silenzio e con molta circospezione, all’interno di un vecchio edificio abbandonato di qualche squallida e anonima periferia, le mani strette attorno al fucile d’assalto e i sensi tesi allo spasimo.
Il buio lo avvolgeva, solo in parte rischiarato dal bagliore delle due lune e dal lampeggiare stentato di qualche lampadina mezza fulminata, serrandolo in un abbraccio carico di tensione. Sentiva il sudore rigargli spietato le tempie, ambasciatore di un’ansia che solo in parte riusciva a mitigare, scendendo lentamente lungo il volto per andare a depositarsi sul colletto della sua uniforme.
La corazza d’acciaio che indossava come un giubbotto antiproiettile gli sembrava anche più pesante del solito, minacciando di limitare non di poco la sua libertà di movimento, ma cercava di non pensarci.
Anche il silenzio era spaventoso, rotto di quando in quando solo da brevi spifferi di vento o dallo scricchiolare della polvere sotto gli scarponi.
Doveva concentrarsi.
Molto dipendeva da quello che avrebbe fatto, a cominciare dalla vita di una persona.
Avanzò lentamente, il fucile puntato davanti a sé, mentre il vento freddo gli scorreva sulle guance minacciando di farlo tremare.
Doveva fare come gli era stato insegnato, estraniarsi totalmente dal mondo.
Non c’era niente di diverso dalle altre volte. O almeno, voleva sforzarsi di crederlo.
Un rumore, che l’istinto gli disse non essere prodotto da un gatto saltato fuori dal suo nascondiglio o da chissà quale altro animale, riecheggiò alle sue spalle.
Fulmineo, si girò, ed ebbe appena il tempo di scorgere un vagabondo armato di fucile sbucare fuori da una pila di casse prima di riempire l’aria col fragore di una raffica e fulminarlo in pieno petto.
Quel rumore assordante fu come il rimbombare di un allarme, e da un istante all’altro decine di altri nemici sbucarono da ogni dove con le armi puntate.
Jake, però, non si fece intimidire; nulla che un soldato abile e addestrato come lui non potesse affrontare. Rapidamente e con efficacia il giovane affrontò gli avversari che gli si pararono davanti, riuscendo ad abbatterne la maggior parte, e correndo nel contempo in ogni direzione per confonderli.
Raggiunta la più vicina rampa di scale si gettò rapidamente verso i piani alti, ostacolato di quando in quando da alcuni  altri avversari che lo attendevano sui pianerottoli, fino a giungere all’ultimo piano.
Anche qui, però, trovò ad attenderlo un nutrito comitato di benvenuto, tanto che come tentò di affacciarsi sul corridoio al termine della rampa dovette subito rotolare dietro ad un tavolo ribaltato per evitare di finire crivellato di colpi.
Messosi al sicuro gettò un occhio all’esterno, per capire la situazione; poco più avanti il corridoio deviava ad angolo retto, e nascosti dietro vi erano almeno quattro ostili che lo tenevano sotto tiro e non smettevano un attimo di bersagliarlo.
Era un’eventualità che non aveva considerato.
«D’accordo, lo ammetto.» disse vedendosi apparentemente in trappola «Forse sono stato un po’ impulsivo».
Se solo avesse cautelativamente lanciato una granata prima di lasciare la tromba delle scale le cose si sarebbero fatte molto più facili, ma ora che aveva fatto l’errore era inutile starci a riflettere.
Sparò un paio di colpi, riuscendo ad abbattere uno degli ostili, ma poi, sfortuna nella sfortuna, il suo fucile si inceppò.
«Maledizione, proprio adesso?» ringhiò cercando di sbloccarlo.
Accortisi che il loro bersaglio era in difficoltà, e convinti di averlo messo alle strette, due dei tre aggressori superstiti provarono a raggiungerlo per dargli il colpo di grazia. Jake gettò dunque via il fucile inutile e sfoderò il bastone d’ordinanza, un classico type-30 in argento lavorato dal basso potenziale, e ad una sua parola i due poveri sventurati si videro franare il pavimento sotto i piedi, precipitando assieme a cumoli di macerie.
Prima che il loro compagno potesse assimilare quanto accaduto Jake gli fu addosso, lo disarmò, e dopo averlo ingaggiato in un breve corpo a corpo riuscì ad abbatterlo scaricandogli un incantesimo stordente dritto nell’addome.
Sfortunatamente, volendo essere sicuro di assestare un colpo mortale, Jake spinse il potere dello scettro ben al di là delle possibilità offerte dall’arma, che infatti gli si sgretolò tra le mani passato il pericolo.
«Perfetto, ci mancava anche questa».
Rimasto con la sola pistola Jake continuò lungo quel corridoio seguendo le direttive di missione, fino a raggiungere la stanza dove secondo i superiori si trovava il suo obiettivo. In giro non si vedeva nessuno, ma nella concitazione del momento il giovane non arrivò neanche a calcolare che quella potesse essere una cosa strana.
Giusto il tempo di guardarsi un momento attorno, proprio per essere certo di non avere nessuno attorno, e con un calcio Jake sfondò la porta facendo irruzione. All’interno della stanza, circondata dal buio e dalla sporcizia, c’era solo una donna, una diplomatica a giudicare dal bel vestito nero, riversa a terra apparentemente svenuta.
Riposta l’arma Jake le si avvicinò, tastandole il battito e confermando che era viva.
Tirò un sospiro di sollievo.
La missione era conclusa. E nonostante tutto il suo autocontrollo e senso di responsabilità, non riuscì a non farsi sfuggire un sorriso soddisfatto.
«Eagle01 a QG.» disse alla ricetrasmittente «Ostaggio in salvo, ma servono cure mediche immediate.»
«L’ostaggio può essere mosso?» chiesero dal domando
«Affermativo.»
«Raggiungi il punto d’incontro all’ingresso. Il mezzo per l’estrazione è già sul posto.»
«Ricevuto QG. Chiudo».
Jake fece per caricarsi la donna sulle spalle, ma dal momento in cui aveva fatto irruzione si era  preoccupato a tal punto di accertare le condizioni di salute dell’ostaggio da non accorgersi che la stanza aveva una seconda porta, sulla parete a destra di quella da cui era entrato.
Tutto accadde in pochi istanti che parvero farsi secoli.
Un nuovo aggressore la buttò giù con una spallata, apparendo da un secondo all’altro pistola alla mano e pronto a sparare. Jake lo notò con la coda dell’occhio, e lasciata cadere la donna si girò più in fretta che poteva, allargando le braccia come a volerle fare da scudo.
«Schild Süden!» tuonò solennemente.
Partirono tre colpi, esplosi dall’arma del nemico, che andarono a scontrarsi contro un impenetrabile muro di luce vermiglia materializzatosi dal nulla davanti a Jake e alla sua protetta, spesso meno di un centimetro e abbastanza grande da coprire interamente lo spazio tra una parete e l’altra e tra il pavimento ed il soffitto.
Colto alla sprovvista, quasi non si aspettasse di avere a che fare con uno stregone, l’aggressore parve esitare, e fu la sua condanna. Nel momento in cui le sue tre pallottole cadevano tintinnando sul pavimento sudicio, una quarta andò a piantarsi dritta nella sua fronte lasciandolo a terra senza vita.
Era accaduto tutto così in fretta che Jake impiegò qualche istante a realizzare quello che aveva fatto, e a comprendere che in qualche modo era riuscito a scampare al pericolo salvando sia sé stesso che l’ostaggio.
Giusto per un eccesso di prudenza, con la pistola pronta a sparare, il giovane si avvicinò alla sua vittima per accertarsi che fosse effettivamente morta, e solo una volta che ne fu assolutamente sicuro si risolse a recuperare la donna e lasciare finalmente quel posto sporco e maleodorante.
Correndo come meglio poteva, ma sempre attento e pronto a rispondere a qualsiasi minaccia esterna, Jake ritornò in tutta fretta all’esterno, trovando una camionetta della squadra ad attenderlo nel piazzale antistante al palazzo.
Il tempo di avvicinarsi e mettere una mano sulla portiera, ed ogni cosa attorno a lui parve cristallizzarsi, facendosi immobile. L’aria cessò di soffiare, la polvere di scricchiolare, e il motore del veicolo di borbottare. Un piccione che aveva preso il volo spaventato dal suo arrivo si bloccò per aria proprio davanti ai suoi occhi, le ali immobili come fosse stato imbalsamato.
Una voce, tonante ma piatta, rimbombò tutto attorno.
«Fine della simulazione».
Pochi secondi dopo tutto scomparve, disfacendosi come un disegno. Tutto tranne Jake, che chiusi un momento gli occhi, quando li riaprì si avvide di essere tornato dove in verità era sempre stato, nell’immensa stanza di addestramento al quartier generale del TMD.
Vista dall’alto appariva come una gigantesca cupola, talmente grande e traboccante di sapere scientifico che al suo interno poteva essere ricreata praticamente qualsiasi cosa, da una semplice stanza ad interi edifici.
Nuovamente, Jake sospirò sollevato e un po’ soddisfatto. Finalmente era finita.
Era passato un po’ di tempo da quando aveva sostenuto l’ultima prova pratica, ancora ai tempi dell’addestramento sulla stazione Ares, e rispetto al passato i miglioramenti portati dal duro esercizio, almeno per lui, erano evidenti.
Come uno studente alle prese con un difficile esame universitario, cominciò a contare febbrilmente i secondi nell’attesa che qualcuno venisse a dargli il risultato.
C’erano state due o tre sbavature, ma a conti fatti era piuttosto sicuro di aver fatto una buona prova, abbastanza perché potessero prendere in considerazione, se non un comando, almeno l’abilitazione all’impiego operativo.
Vyce discusse un momento con gli altri esaminatori presenti in sala  di controllo, giusto per essere sicuro che confermassero la sua valutazione di addestratore esperto, quindi raggiunse l’amico nello spogliatoio per comunicargliela.
«Allora?» chiese Jake tutto ansioso ed impaziente «Come sono andato?».
La differenza di grado in teoria avrebbe dovuto prevedere ben altro approccio, ma ormai lui e il Capitano si conoscevano da così tanto tempo da potersi permettere, almeno in privato, di dare un calcio all’etichetta.
«Non è andata troppo male. Onestamente mi aspettavo di peggio.»
«Ti ringrazio.» rispose il giovane sollevato e, bisogna dirlo, anche un po’ inorgoglito «E che punteggio ho totalizzato?».
Vyce si lasciò sfuggire un sorriso, uno strano sorrisetto che il suo interlocutore non seppe come interpretare, quindi passò a Jake il suo palmare perché potesse vedere lui stesso.
Il giovane la prese e lesse sullo schermo, ma l’espressione che gli comparve sul volto dopo pochi istanti tutto poteva significare meno che soddisfazione.
«Settantasei punti!?» esclamò sorpreso e anche un po’ arrabbiato.
Era inaudito.
Settantasei era un punteggio da matricola.
«Ma non è possibile. Deve esserci un errore.»
«Nessuno errore, Jake. E ti dirò di più. Sono stato io a proporre questa valutazione, in quanto esaminatore capo. I miei colleghi avrebbero voluto darti anche di meno.»
«Che cosa ho mai fatto per meritare un punteggio simile?»
«Da che cosa dovrei cominciare? Dal fatto che hai polverizzato il tuo bastone magico restando quasi senza equipaggiamento prima ancora di aver recuperato l’ostaggio, o da quella tua bravata da kamikaze nella stanza dove era rinchiuso?».
Punto sul vivo, Jake non seppe cosa rispondere.
«Tralasciando l’esitazione che hai dimostrato più volte nel corso delle sparatorie, è palese che tu sia stato fin troppo impulsivo.»
«Credevo che la rapidità fosse uno dei requisiti fondamentali del TMD.» replicò Jake con una punta di insofferenza
«Ma non l’avventatezza. Prendi quanto accaduto in cima alle scale. Se quegli ostili avessero avuto un po’ più di mira la tua missione sarebbe finita lì.
Certo, hai risposto all’imprevisto con inventiva ed efficacia, ma non sempre il nemico ti concede il tempo per ovviare ad un errore. Anzi, non lo fa quasi mai».
Jake si sentì venire la pelle d’oca, un segnale che non gli piaceva: nel suo caso era un segno di nervosismo. Cercò di controllarsi, anche se il suo Capitano, severo come non mai, non smetteva un momento di rinfacciargli tutti i suoi errori.
Era come essere tornati al primo giorno di accademia.
«E di quello che è successo nella stanza dell’ostaggio che cosa mi dici? Il manuale parla chiaro, prima di entrare in un ambiente ostile è prima necessario sterilizzarlo, o quantomeno accertarsi dell’assoluta assenza di pericoli.
Se avessi notato subito la porta secondaria e avessi preso provvedimenti non si sarebbe arrivati a quella situazione ad alto rischio.»
«Volevo accertarmi delle condizioni dell’ostaggio.» si giustificò Jake «E comunque, ho risposto alla minaccia in modo rapido ed efficace.»
«Su questo non discuto. Sei stato scattante e inventivo. Ma anche incredibilmente fortunato.»
«Fortunato!?»
«Hai usato lo Schild Süden. E a meno che non mi ricordi male, negli ambienti chiusi il manuale prevede l’utilizzo dello Stahlwand.»
«Non sono mai stato molto bravo ad usarlo.» disse Jake con espressione sempre più affranta e contrita «Lo Schild Süden mi viene più facile, e so controllarlo meglio.»
«Sì, me ne sono accorto. Ciò non toglie che hai corso un bel rischio. Lo Schild Süden è un incantesimo per la difesa di massa, e può espandersi in maniera considerevole se non controllato a dovere. Se non fossi riuscito a bloccarne l’ingrandimento in tempo le pareti, il soffitto e il pavimento si sarebbero incrinati, e l’intera stanza ti sarebbe crollata addosso uccidendo te e l’ostaggio.
A conti fatti, devi ammettere di aver corso un bel rischio».
Poi Vyce si fece anche più severo, quasi cattivo.
«Essere troppo sicuri di sé non è mai una buona idea nel bel mezzo di una missione, soprattutto se c’è di mezzo la vita di qualcun altro, e in special modo di un innocente.
Sei stato impulsivo, avventato e ingenuo. Il mix perfetto per un potenziale aspirante suicida».
Il Tenente Aulas avvertì prima un senso di rabbia, che lo spinse a distogliere lo sguardo e stringere i pugni, sostituito subito dopo da uno di impotenza.
Possibile che fosse stato tutto inutile? Che tutti quei mesi di sofferenze e addestramenti sulla stazione Ares non gli fossero serviti a nulla?
«Il regolamento parla chiaro.» concluse severamente il Capitano «Con settantasei punti niente operazioni sul campo, figuriamoci poi dirigere una squadra. Per ora farai parte del gruppo di Madison, ma solo come osservatore e coordinatore esterno. Se ne riparlerà tra qualche mese. Nel frattempo, continua ad addestrarti. Tutto chiaro?».
Jake non rispose; era troppo perso nei suoi pensieri e troppo arrabbiato per farlo.
«Tutto chiaro?» ripeté Vyce a denti stretti e guardandolo dritto negl’occhi
«Sì, signore.» balbettò il giovane ricambiando a fatica lo sguardo.
Sembrò finire tutto lì, ma solo dopo essere rimasto solo Jake realizzò appieno quanto era accaduto, e la furia dentro di lui esplose incontenibile.
«Al diavolo!» tuonò calciando la panca, che cadde a terra con un rumore sordo e violento.

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